Suicidi nelle Forze dell’Ordine

Suicidi Forze dell'Ordine

Poliziotta suicida: il sorriso di R. nascosto dallo Stato, dove le divise muoiono due volte. Suicidi nelle forze dell’ordine

Il sorriso di R. è nascosto. Perché non accettabile vederla sorridere. Perché non merita di essere ricordata sorridente. R. ha deciso di andarsene, sola, e sola deve restare. E’ così che stanno le cose. Purtroppo, è così che stanno le cose.

Il suicidio è tabù. In Italia più che in altri Paesi. E se a togliersi la vita è un rappresentante delle forze dell’ordine, la censura è ancor più spietata, definitiva. Come la morte. Muore due volte un poliziotto, un carabiniere, un finanziere, un agente penitenziario, un militare. Muoiono due volte: nell’istante della tragica decisione e dopo, sepolti repentinamente in un terreno spoglio, lontano, isolato, senza nomi.

L’ennesimo suicidio

R.C. era una poliziotta. Si è uccisa con la sua pistola d’ordinanza. Aveva 47 anni, era assistente capo della Questura di Caltanissetta, madre di due figli, moglie di un poliziotto. Ha deciso di andarsene. E non doveva farlo. Perché la sua sofferenza assassina imbarazza. Imbarazza lo Stato e le sue emanazioni. Imbarazza uno Stato ignorante, dove ancora si derubrica il suicidio ad atto di debolezza o, peggio, codardia.

Imbarazza uno Stato che non educa, che non spiega, incapace di accettare quel che la Scienza ha certificato da tempo: il cervello è un organo che fa parte dell’essere umano e così come qualsiasi organo è a rischio malattie. E le neuroscienze hanno spiegato che la mente, cioè quel complesso reticolo di attività cognitive che rendono l’organo fisico ospitato nel cranio un prodigio unico e ancora misterioso fra i viventi, può guastarsi, incepparsi, deragliare.

E le cause vanno sondate, capite, affrontate, per riparare, recuperare, guarire. Ma chi indossa la divisa non può permettersi di avere una mente.

E se lo stress della professione o delle quotidianità o la chimica che va in tilt o tutti i fattori concatenati ti fanno smarrire, ti conducono sulla soglia di un tunnel, ti ci conficcano sempre più dentro, senza qualcuno che ti blocchi e ti riconduca indietro, amen e addio. Amen e addio.

L’indifferenza

Sul sito del Ministero dell’Interno, dal quale dipendono le forze dell’ordine, non si trova un cenno della scomparsa di R. Lo stesso su quello istituzionale della Questura di Caltanissetta, sul sito e sulla pagina ufficiale Facebook della Polizia di Stato: nemmeno un saluto, né per lei, né per il collega di Chieti che due giorni prima si è lanciato da un viadotto, né per tutti gli altri, tanti, troppi (la media dei suicidi tra i cittadini italiani si aggira attorno a 5 casi ogni 100 mila abitanti. Il doppio tra le forze dell’ordine: 9,8 casi ogni 100 mila difensori della legalità) che si sono tolti la vita.

Si fa cenno soltanto a chi muore in servizio. Esiste solo chi muore in servizio. E chi lo ha detto che chi si suicida non è morto in servizio?

Chi lo ha detto che non è morto a causa di quel servizio in cui credeva e che ha originato, ora dopo ora, giorno dopo giorno, quella frustrazione più volte denunciata da chi sacrifica tempo per gli affetti e mette a rischio la salute, la vita, e vede vanificato lo sforzo dall’assenza della certezza della pena o di pene adeguate; da chi non si sente apprezzato, valorizzato; da chi, inoltre, percepisce l’ostilità di una fetta consistente dell’opinione pubblica, in quel gioco autolesionistico al massacro in cui noi italiani sappiano essere così abili.

Chi indossa la divisa è solo con la sua divisa, nella quale rimane imprigionato se dovesse improvvisamente avere bisogno di aiuto. Perché in Italia se dici di provare un dolore che non è considerato canonico, legittimo, inquieti, preoccupi: sei pazzo. Suicidi nelle forze dell’ordine

Improvvisamente sei disumanizzato, sei un involucro molesto che, se indossi una divisa, devi essere collocato da qualche parte, nell’ufficio dove dai meno fastidio. Non sei soccorso, accolto, abbracciato, affidato a quei professionisti (psicologi, psichiatri) che in Italia non si valorizzano, relegandoli a un ruolo di secondo di piano mentre dovrebbero essere esercito a supporto di tutte le uniformi. Per il bene loro, per il bene di tutti. Suicidi nelle forze dell’ordine

Articolo di Alessandro Sofia – Futurapress

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